Antonio Benci: “Viaggetto in Maremma” da Massa a Grosseto (II parte)

Si trascrive la seconda parte della cronaca di un grand tour ‘nostrano’, il Viaggetto in Maremma (1830, Biblioteca Nazionale di Firenze) di Antonio Benci, romanziere, storico e filologo nato a Santa Luce nelle Colline il 30 marzo 1783 e deceduto a Livorno il 25 gennaio 1843.
La prima parte ha interessato l’itinerario da Livorno a Massa Marittima (esclusa), compiuto tra il 21 e il 23 marzo. La seconda, che ebbe luogo dal 24 al 26, continua il viaggio fino a Grosseto (incluso).
Anche questo brano mostra al lettore il gusto del Benci per l’osservazione del quotidiano nei luoghi visitati e la peculiare sintesi letteraria ... oltre al suo spirito indipendente e impulsivo, da uomo abituato a fidarsi delle idee personali ... e a riconoscere i conseguenti errori.
A volte, in luoghi oppressi dalla malaria, i quali dovrebbero essere un “giardino” secondo le intenzioni politiche, lo sguardo del viaggiatore contempla la situazione concreta con pietà e tristezza ... e con stupore riguardo alle proprie reazioni e incapacità di risolverla.

[Viaggetto in Maremma 1830
seconda parte]


“24 marzo.
Massa è divisa in città nuova, e città vecchia; la prima in vetta: la seconda più sotto, ma in monte anch’essa. La città nuova a me pare la più antica ed è forse detta nuova perché vi sono più fabbriche recenti. Ivi è la fortezza, di cui però restano le sole mura della città che girano insieme per tutta la vecchia o bassa città: mura alte e ben costruite di tutti sassi tagliati a dadi piccoli. Nella città nuova v’è la chiesa di San Francesco a una sola navata con archi acuti larghissimi che sostengono e adornano: essendo il resto della chiesa a travatura. È una chiesa un po’ singolare: con cupola angolata esagona.
| V’è un bell’arco, che i pittori dipingono; era prima una via sotterranea che metteva giù sotto la città bassa: ora è stato abassato di sopra, e resta quasi il puro arco, coperto di tegoli per conservarlo. C’è un arco acuto e non d’eccessiva larghezza. V’è pure un spedale che tengono pulitissimo.
Nella città vecchia v’è da vedere la piazza. Vi sono due palazzi a uso palazzi di potestà. E più v’è un loggiato a tre archi. E poi la cattedrale, che di fuori è un
pseudo periptero continuo [simile al colonnato di un tempio antico], anche di facciata. Vi si sale per gradinate. Nell’interno vi sono tre navate, e pare fatto in più | tempi o rifatto. Il campanile è una torre quadra, sopra cui sono colonne.
Il resto della piazza è ordinario, e la piazza non è in piano.
I fratelli Giobbi fanno buone attenzioni, e non sono cari ne’ prezzi, almeno per me. Sono di Peccioli, e qui fanno fortuna. Miglioreranno la locanda. E accompagnano anche i forestieri col calesse, cavallo e bilancino, pigliano 20 lire al giorno.
Son partito alle sette e mezzo. Si scende per un miglio al piano, dov’è cattiva aria.
| 3 Miglia da Massa è Valpiana, dov’erano prima i forni del ferro ora vi son mulini e qualche casa.
Dopo un altro miglio si trova un edifizio nuovo, dove sono le belle macchine de’ cilindri per tirare, schiacciare, e tagliare il ferro.
Dopo altre dieci miglia di piano cattivo (che dovrebbe essere un giardino) s’arriva a Follonica, sul mare.
Gran forno per fondere le miniere del ferro, e case e edifici tutti addetti alla lavorazione del ferro, che nell’estate restano deserti. Tutti cominciano a lamentarsi dell’aria e v’è una tristezza che spaventa.
Non si può entrare in una casa, in una capanna, dove non si vede piangere una moglie alla febbre, | che entra al marito, o alla madre e figlio e viceversa.
Veduto il lavoro del ferro a Follonica, e uscir il ferro fuso al forno come un fiume di minerale dal vulcano, e veduto questo ferro gettato a formarsi vari pezzi, sono andato per rena a macchioni, per tre miglia, allo spuntone di Scarlino. È piccol forte sul mare. Ma il mare entra dentro terra, e forma uno stagno che parte è dolce, parte è salso, parte è asciutto, parte è pieno, e appesta con queste vicende il paese. Poche capanne dove si nutrono uomini, si nutrono animali e che squallore! Due case sevono a’ militari, a’ doganieri, che tremano per le febbri.
| In una capanna [che costa 75 scudi, dando però il proprietario (Lelio Franceschi) il legname come dà il terreno per dieci lire l’anno] ho visto cinque letti, tavola per mangiare, acquaio, tutti gli utensili da cucina ecc. appesi intorno intorno, focolare nel centro, senza uscita di fumo se non alla porta della capanna, la quale è tutta mattonata.
Della capanna che annunzia prosperità, mentre v’è il morbo che distrugge tutto. Io v’ho mangiato ova, formaggio, pane e vino, pagando poco, e donando poco. Non so perché il cuore ci tocchi qualche volta poco. V’ | era un padre giovane colla febbre, madre giovane estrutta [distrutta], figli teneri estrutti: e m’è sembrata questa poco povertà, mentre v’era un’apparenza di prosperità.
Alle 11 1/2 ero allo spuntone di Scarlino, dove sul mare v’è una specie d’argine con fittoni, fascine e rena, dando apertura all’acqua di mare che si passa in barca, pagando un paolo per il calesse e vetturino, e i passeggeri due crazie. È una ribalderia, mentre il passo è brevissimo. In un’ora l’ho passato per passare altro tombolo renoso.
| E dopo la rena, strada da capre, salita e scesa, di nuovo rena. Questa stradaccia per 12 miglia fino a Castiglion della Pescaia.
Questa piccola città risiede maestosa sopra una punta di mare ove ha foce un fiume che fu a lungo porto. Qui capitano i pescatori, che mandano subito il pesce via, a Siena. Bello, ampio castello, in vetta. Posizione più bella non si può trovare, e malaria simile non si può trovare. Pessimi alloggi.
Perciò m’incamminavo a Grosseto, ma era quasi notte. Ho retroceduto. A Grossetto vi sono 7 miglia di rena, e poi 7 miglia di selciato. Era una vera | imprudenza mettersi di notte alla macchia e alla guazza. Dormo qui. Ho fatto diventare camera un salottino. Sopra una panca e le sedie ho messo due materassi; di tutto si profitti in viaggio ...
È un paese che è povero di caffé e cattiva locanda.

25 marzo.
Coll’accomodarsi il salottino a camera, non sono stato sì male. E non ho pagato caro. Il paese di sopra è orrido, benché sì ben posto. Solo alla marina si sta bene. Sono partito verso le 7 1/2 e alle 11 ero in Grosseto. Be’ lavori al canale, tre punti: argini sull’Ombrone. In Grosseto belle mura, una cattedrale del XIII e mediocre locanda.

| 26 marzo.
Vedo la macchina artesiana [pozzo], piglio caffè, e parto di Grosseto alle 7.
Ho pagato caro, né sono stato bene alla locanda del Nencioni. E pure è la migliore di Grosseto. Cosa curiosa. Io sono stato benissimo dove credevo di star malissimo, e all’incontro. A Castiglione della Pescaia, preparato a ogni male fui ragionevolmente. Fuor di lì, con molte attenzioni, male.
Il mio calessante m’ha condotto, senza rinfrescarsi, in 4 1/2 ore, da Grosseto a Orbetello, 30 miglia.
La via è tutta nuova, e tutta in piano, fuori una breve e dolce salita. Si passa tre volte la barca, all’Ombrone, alla Losa [Osa] e all’Albegna. Quest’ultima dicesi pur le Saline. | E tanto questa che la penultima, benché vi siano due fiumi o torrenti, v’è l’acqua del mare, sicché largo d’acqua è il passo.
Caro passo però, poiché si paga una lira ogni barca, il che fa tre lire di passo in un tragitto di trenta miglia. E le carrozze pagano 2 lire; i barrocci un paolo.
La via da Grosseto a Orbetello è quasi sempre per boschi, con poche coltivazioni. Alla linea di Talamone prima di passare la Losa, v’è un gran padule, che appesta in estate. V’ho veduto a mezzo padule i cavalli mangiare le piante d’erba, segno che l’acqua non è profonda. Gran branchi di cavalli e vacche per tutta la via: tori grossi, corna lunghissime ...”. (continua)

Trascritto da Paola Ircani Menichini, 29 febbraio 2024. Tutti i diritti riservati.




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